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mercoledì 25 giugno 2014

IL NAUFRAGIO DELLA NAZIONALE DI PRANDELLI METAFORA DELLA CATASTROFE ITALIA.

Capitano incolpevole dell'eliminazione
In un interessante articolo (che riproduco alla fine del post), comparso sul magazine sportivo on line OLIMPIAZZURRO, Federico Militello analizza l'eliminazione dell'Italia ai Mondiali come la conseguenza impietosa di un insufficiente ricambio generazionale delle nuove leve calcistiche di un  Paese  condannato a vivere di rendita (sempre più magra) sul passato senza investire nei talenti giovani.
I vivai giovanili offrono sempre meno perchè le grandi società preferiscono investire in giocatori stranieri (spesso anche di basso livello) piuttosto che nello sviluppo del talento locale. Come ricorda l' articolo "i nostri club hanno smesso di investire sui vivai e sui giovani italiani. Negli ultimi 15 anni il nostro Campionato è andato gradualmente riempiendosi di stranieri perlopiù di basso livello. Attualmente la percentuale di giocatori ‘importati’ ha superato ampiamente il 50% ed è probabile che a settembre valichi anche la soglia del 60%. L'inter del "triplete" nel 2010 era composta interamente di giocatori stranieri." In queste condizioni un Rossi o un Destro o un Florenzi in più non avrebbero fatto la differenza. Il problema è che il calcio malato è espressione di un Paese malato. Un Paese in cui la mentalità dei club è ispirata unicamente alla ricerca del profitto immediato anzichè agli investimenti di lungo periodo sui giovani talenti italiani.
In questo senso il naufragio della nazionale di Prandelli è la metafora della catastrofe di una Italia, le cui classi dirigenti investono pochissimo nello sviluppo dell'economia locale, preferendo l'attrazione di investimenti speculativi che nel lungo periodo impoveriscono anzichè arricchire il territorio, così come l'importazione di giocatori stranieri nei nostri club alla lunga impoverisce il talento locale, perchè lo inibisce, gli impedisce di emergere.
Si preferisce  l'importazione di beni e servizi di filiera lunga e non lo sviluppo di politiche economiche dal basso in grado di valorizzare i veri assett del Paese, l'agricoltura e l'enogastronomia che ne è prodotta, il turismo culturale e archeologico, la creatività delle botteghe artigiane e delle innovazioni tecnologiche made in Italy che spesso in passato hanno rivoluzionato l'economia mondiale (come oggi sta facendo la scheda "Arduino" per le stampanti 3D).
Masseria Magli in provincia di Taranto
Gastronomia locale: la focaccia pugliese
Invece le scellerate politiche economiche del governo continuano a devastare l'ambiente mettendo a repentaglio la biodiversità che garantisce la qualità e la diversità dell'offerta dell'enogastronomia locale, e la stabilità del territorio e del suo assetto idrogeologico che garantiscono il potenziale turistico.
Quanti milioni di visitatori da tutto il mondo ha perso il parco archeologico della Magna Grecia e il museo degli ori di Taranto   a causa della immagine di città martire dell'inquinamento industriale?

Mar Piccolo a Taranto- ILVA sullo sfondo.
E così la sua enogastronomia fatta di pastorizia eccellente, agrumi profumatissimi e mitili coltivati in un habitat (il Mar Piccolo) unico al mondo?
Abbiamo preferito "importare" inquinamento distruggendo masserie del '600, uliveti secolari, e tradizioni agricole millenarie per far fare profitti immorali a gruppi industriali che pagano la politica locale e nazionale per poter continuare a farlo.

Preferiamo adottare strategie energetiche basate sui fossili che devastano l'ambiente e arricchiscono i soliti
Vincenzo Fornaro. Gli hanno ammazzato 700 animali
e neanche un centesimo di risarcimento perchè
non è sicuro che la diossina venisse dall'ILVA (!) ...
grandi gruppi petroliferi e i soliti monopoli energetici, anzichè sviluppare l'economia solare di rete in cui trova spazio la piccola e media impresa con i suoi standard a alta intensità di lavoro e a bassa intensità di capitali. A Taranto si uccidono le pecore perchè brucano erba contaminata dalla diossina, ma il risarcimento all'allevatore arriverà, se arriverà, solo dopo decenni di estenuanti cause per verificare da dove sia mai venuta quella dossina... Si uccide l'economia locale e il territorio e poi ci si meraviglia della disoccupazione e del debito crescente...

Preferiamo premiare le grandi opere impattanti, inceneritori, grandi centrali, discariche, grandi insediamenti agroindustriali, piuttosto che fare spazio all'economia dal basso di comunità, alle banche del riuso, ai gruppi di acquisto solidale, ai Fab Lab per lo sviluppo della manifattura additiva (stampa 3D), che darebbero spazio alla piccola impresa innovativa e alla cittadinanza. Allo stesso modo, importando giocatori stranieri, le nostre scuole calcio diventano sempre meno importanti nella produzione del talento e poi non c'è da meravigliarsi se ai mondiali ci elimina la nazionale del Presidente Pepe
Il Presidente dell'Uruguay Pepe Mujica
Mujica, per cui l'essere umano è e rimane il valore di riferimento dell'azione economica e dell'attività politica. Certo anche i giocatori uruguaiani sono ricchi e in giro per il mondo, ma hanno avuto a casa loro la possibilità di crescere. Il campionato dell'Uruguay non è strapieno di giocatori stranieri, come il campionato italiano, e i bambini di Montevideo o di Paysandù, hanno la possibilità di muovere i primi passi calcistici in scuole calcio di quartiere diffuse e ben gestite che noi in Italia ci sogniamo, proprio perchè le scelte politiche in quel paese sono ispirate a una filosofia esistenziale che privilegia l'uomo e non il profitto, il senso di comunità e non l'individualismo, la condivisione empatica e non la competitività esasperata.
Allora se c'è una lezione da imparare dal disastro della nazionale di Prandelli, è questa: ripartiamo su nuove
Cesare Prandelli. Solo colpa sua? ...
basi, riscopriamo la nostra umanità e la nostra creatività, rilanciamo una nuova economia dal basso in cui trovi spazio l'essere umano e non la logica del profitto, riportiamo i nostri bambini a giocare al calcio per divertirsi, e non per comprarsi la Ferrari, ridiamo un senso alla parola "valore" che non sia legato al mercato dei titoli azionari.
Un senso che abbiamo perso totalmente in un paese impazzito dietro a falsi valori che evidentemente non sono sufficienti a compiere grandi imprese come quelle di vincere un mondiale. O almeno a passare il turno e arrivare agli ottavi...






Il naufragio di Prandelli e la deriva di un calcio italiano sempre più malato

Cesare Prandelli Calcio Wikipedia Libera

Lacrime di rabbia. L’impotenza di chi, dinanzi ad un declino che si propaga inesorabile, si rende conto di non avere le armi per arginarlo.
Mezzo secolo dopo, l’Italia viene eliminata nella fase a gironi di un Mondiale per due edizioni di fila (era già accaduto nel 1962 e nel 1966). I numeri sono impietosi: solo un’altra volta avevamo segnato appena due gol in una rassegna iridata, sempre nel 1966, l’anno della Corea del Nord. Due sconfitte nello stesso Mondiale, inoltre, erano maturate anche nel 1954, 1966, 1978 (ma con quarto posto finale) e 2002 (una delle due, ai supplementari). Tocchiamo il punto più basso della nostra storia, con il rischio tangibile che possa accadere anche di peggio.
Una prima considerazione, di per sé piuttosto cruda: per la prima volta da 40 anni, ci siamo presentati ad un Mondiale consapevoli di non aver alcuna possibilità di vincerlo. Troppe le lacune di una selezione tricolore giunta in Sud-America con tante, troppe lacune, con la speranza vana che l’aria iridata le cancellasse di colpo. Illusione.
Ma prima di soffermarci sui mali, forse incurabili, del calcio italiano, è bene partire dalla causa scatenante di un fallimento che affonda le radici nel tempo. Il Mondiale, come ha ammesso lo stesso Prandelli, lo abbiamo perso con il Costa Rica. Un match assolutamente alla portata, che se vinto avrebbe garantito una qualificazione pressoché certa, un primo posto nel girone probabile e, con esso, un ottavo di finale non proibitivo. Magari dopo aver fatto riposare qualche titolare con l’Uruguay. Sarebbe cambiato tutto, evitando un match da dentro o fuori con una nazionale esperta e ruvida come la Celeste.
E’ innegabile che l’arbitro Moreno, un cognome che ci perseguita e fa rivivere l’incubo del 2002, abbia influito in modo determinante e decisivo sull’eliminazione degli azzurri: un rosso inventato a Marchisio e il morso del ‘vampiro’ Suarez rimasto impunito. Due episodi troppo eclatanti in un incontro cosi’ equilibrato ed incerto. Ma è innegabile anche come l’Italia, in due partite, non abbia mai tirato in porta.
Il progetto tecnico di Prandelli, ed in questo va apprezzata l’onestà dell’ormai ex ct di Orzinuovi, si è sgretolato, fallendo miseramente la prova del nove. L’allenatore bresciano ha cercato in questi 4 anni di cambiare la mentalità del nostro calcio, imponendo una nuovafilosofia, riassumibile come segue: basta catenaccio e contropiede, proviamo a giocare ed imporre il nostro gioco. Un modus operandi che ha convinto nel primo biennio, culminato con la finale europea contro la Spagna, ma rivelatosi inattuabile negli ultimi 12 mesi, soprattutto per carenza di interpreti adatti a questo tipo di calcio.
L’avvicinamento all’evento non era stato fortunato, con gli infortuni prima di Giuseppe Rossi(tagliato perché ritenuto non al top della condizione, anche se, a nostro parere, anche un Pepito al 50% avrebbe fatto comodo) e poi di Riccardo Montolivo, quest’ultimo vertice alto del rombo di centrocampo che ha obbligato Prandelli a rivoluzionare lo schema tattico proprio a pochi giorni dal debutto con l’Inghilterra. Dopo 4 anni impostati con 2 attaccanti, il ct ha deciso di puntare su un discutibile 4-5-1, affollando il centrocampo di palleggiatori e sostanzialmente ricalcando il modello spagnolo (ormai naufragato). L’esibizione con l’Inghilterra, pur non esaltante, era stata salvata dal risultato. I limiti di questo modulo sono però emersi nitidamente con il Costa Rica. Completamente in confusione, Prandelli si è rifugiato nel 3-5-2 di stampo juventino, ridando in parte una parvenza di solidità alla difesa, ma continuando a sviluppare una manovra lenta e prevedibile. ‘E’ il fallimento del mio progetto tecnico“, ha dichiarato Prandelli. L’impressione è che il buon Cesare avesse questo sentore già dal ritiro di Coverciano ed i continui cambi tattici lo dimostrano.
E veniamo ai giocatori. L’ex commissario tecnico ha perso la sua scommessa più grande. Ha investito per un quadriennio intero su Mario Balotelli. Lo ha coccolato, incoraggiato, perdonato. Lo ha trattato quasi come un figlio. Il Mondiale brasiliano ha invece emesso un verdetto inappellabile: ad oggi, ‘Super Mario’ (le virgolette sono volute) non è il fuoriclasse che l’Italia sperava di aver trovato. Certamente un buon giocatore, discontinuo, di sicuro incapace di caricarsi una squadra sulle spalle. Il fallimento della grande speranza Balotelli è lo specchio di un calcio italiano sempre più povero e mediocre. Il trionfo iridato del 2006 aveva segnato la fine di un ciclo d’oro con i vari Del Piero, Totti, Cannavaro, Nesta e via dicendo. Di quel gruppo sono rimasti i soli De Rossi, Pirlo e Buffon, ancora i migliori malgrado le trenta primavere superate abbondantemente. In otto anni abbiamo assistito ad un ricambio non all’altezza della tradizione dell’Italia.
Senza precedenti la crisi del reparto arretrato, dove la convocazione dell’oriundo Paletta esemplifica meglio di qualsiasi altra parola la situazione; a centrocampo un’unica, vera novità, quella del talentuoso Verratti; in attacco il capocannoniere della Serie A, Immobile, tenuto colpevolmente ai margini per poi gettarlo tardivamente nella mischia nel momento del bisogno,
Per giorni si dirà “Prandelli avrebbe dovuto portare Rossi, Florenzi, Destro, Toni, etc…“, ma la sostanza non sarebbe cambiata di molto: il confronto offre davvero poco in questo momentoSiamo a pane e acqua.
La crisi del calcio italiano parte da lontano, dall’inizio del nuovo millennio. Il trionfo di Germania 2006 ha nascosto per qualche anno un problema critico: i nostri club hanno smesso di investire sui vivai e sui giovani italiani. Negli ultimi 15 anni il nostro Campionato è andato gradualmente riempiendosi di stranieri perlopiù di basso livello. Attualmente la percentuale di giocatori ‘importati’ ha superato ampiamente il 50% ed è probabile che a settembre valichi anche la soglia del 60% (nei prossimi giorni vi proporremo un’analisi su questi numeri).  Molti di questi, alla prova dei fatti, si rivelano dei giocatori tecnicamente inadeguati. Ma nella mentalità italiana, il nome esotico stuzzica la fantasia dei tifosi e, magari, fa vendere qualche abbonamento in più.Mettiamocelo bene in testa: finché questo andazzo non verrà mutato, il trend della Nazionale non potrà che peggiorare. Il calcio italiano, annegato dall’onda straniera, sta morendo lentamente. Un’agonia che fa male. 
E dire che la crisi economica e la mancanza di liquidità dovrebbe invogliare i nostri club a costruirsi in casa i campioni del domani. Ma questo non accade. Le grandi squadre allevano giocatori per utilizzarli poi come pedine di scambio nel vortice del mercato, senza attuare un progetto lungimirante su scala pluriennale. Anzi non vi è alcun interesse ad intraprenderlo ed è questo che più ci preoccupa per il futuro. Il successore di Prandelli non avrà vita facile, con un bacino di italiani da cui attingere sempre più esiguo. Nel lungo periodo rischiamo davvero di sparire, salvo una soluzione come quella del calcio a 5, vincente con una squadra zeppa di oriundi. E’ questo che vogliamo?
Chiudiamo poi con il clima, indicato per troppi giorni come un alibi per gli uomini di Prandelli. Che si fosse giocato in Antartide o nel Sahara, non sarebbe cambiato nulla: i nostri giocatori, fisicamente, non sono più in grado di affrontare da protagonisti le grandi competizioni internazionali. Ci mancano velocità, dinamismo, resistenza, una preparazione adeguata a partire dalle scuole calcio. Non è un caso se gli avversari sembrano correre a velocità doppia, come non lo è neppure il livello dei nostri club in Europa, da ormai un decennio comparse in Champions (l’Inter del Triplete, nel 2010, era composta interamente da stranieri nell’undici titolare) ed Europa League.
Un discorso lungo, riassumibile in poche parole: quello italiano è ormai un calcio di seconda fascia. Con questa convinzione ci eravamo presentati in Brasile, con la medesima torniamo a casa con le ossa rotte. Passata la grande delusione, sui più grandi quotidiani sportivi torneremo a leggere pagine e pagine di calciomercato. Almeno il 90% delle trattative riguarderanno calciatori non italiani. Il terrore è che il peggio possa ancora venire.
La versione orioginale di questo articolo si trova a questa pagina: http://www.olimpiazzurra.com/2014/06/il-naufragio-di-prandelli-e-la-deriva-di-un-calcio-italiano-sempre-piu-malato/





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